Palazzo Primoli ospita oggi la Fondazione Primoli, il Museo Napoleonico e il Museo Mario Praz.
In origine il palazzetto apparteneva all’antica famiglia romana dei Gottifredi, nota sin dall’XI secolo; nel 1500 circa si estendeva fra vicolo Altemps (dei Soldati), la piazzetta dell’Orso e vicolo della Fontana Secca. Intorno al 1600 passò a Francesco e Bruto Gottifredi e, un secolo più tardi, alla famiglia Filonardi.
In seguito a successivi passaggi di proprietà, nel 1820 il primo piano fu acquistato dal conte Luigi Primoli; qualche anno più tardi, riunita la proprietà dell’intero edificio, egli vi si trasferì con la famiglia. Il palazzo passò al figlio Pietro, che vi abiterà in un primo periodo solo per pochi anni; con la moglie Carlotta Bonaparte e i tre figli che ebbe da lei (Giuseppe, Luigi e Napoleone), infatti, si trasferirà a Parigi nel 1853, per fare ritorno a Roma solo nel 1870.
Nel 1901 il conte Giuseppe Primoli, rimasto l’unico proprietario e abitante del palazzo, acquistò le due proprietà adiacenti, intenzionato, probabilmente, ad ampliare la sua dimora, divenuta uno dei salotti mondano-letterari più in voga della nuova Capitale: qui, il conte fotografava la società umbertina, organizzava tè, colazioni, riunioni aperte ad artisti e letterati, alla nuova generazione di giornalisti e di scrittori italiani.
Coi lavori del Tevere per la costruzione dei muraglioni e l’apertura della nuova via Zanardelli si rese necessaria una radicale trasformazione del palazzo. Di questa fu incaricato l’architetto romano Raffaello Ojetti, padre del più noto Ugo, anche lui un habitué di quegli incontri. I lavori al palazzo si protrassero per vari anni, dal 1904 al 1911, strettamente correlati, fra espropri, lungaggini burocratiche e vicissitudini politiche, alle sorti della nuova arteria e all’intenso dibattito che coinvolse una zona nevralgica nell’assetto di Roma Capitale.
Interprete delle aspirazioni del suo committente, l’Ojetti inglobò il nucleo originario nella nuova costruzione, trasformando il palazzetto in una dimora signorile dal carattere neo-cinquecentesco romano, tipico di quella fin de siècle. Con grande maestrìa, egli riunì in un unico disegno elementi distinti e corrispondenti a funzioni diverse, creando un prospetto ordinato, pur nelle sue irregolarità e asimmetrie, grazie all’uso sapiente del mattone e del travertino, sobriamente dosato con i marmi policromi. Verso il ponte, un nuovo corpo venne addossato a conclusione dell’ala sulla via Zanardelli; l’architetto, con una soluzione formale riuscita e assai singolare, ne trafora l’angolo in un elegante duplice motivo a serliana, sormontato da una loggia architravata, offrendo agli ambienti d’uso pubblico (il Gran Salone, la Grande Biblioteca) uno splendido affaccio sul fiume, sul nuovo ponte, sul nuovo quartiere dei Prati di Castello.