Il conte Giuseppe Primoli (Roma, 2 maggio 1851 – 13 giugno 1927) si sentiva egualmente romano e francese, ma soprattutto un napoleonide. Sua madre Carlotta Bonaparte (1832-1901), che aveva sposato il 4 ottobre 1848 Pietro Primoli, conte di Foglia (1820-1883), era figlia di Carlo Luciano Bonaparte (figlio di Luciano, principe di Canino) e di Zenaide Bonaparte (figlia di Giuseppe re di Napoli e poi di Spagna). Seguì gli studi a Parigi (dove la sua famiglia si era trasferita dal 1853, e dove rimase fino al 1870), nel Collegio Rollin; fin da ragazzo frequentò assiduamente la corte di Napoleone III, legandosi specialmente all’imperatrice Eugenia e alla zia, la principessa Mathilde Bonaparte. La sua educazione francese si rafforzò e si affinò durante i frequenti e lunghi soggiorni che, anche dopo il suo ritorno a Roma, fece a Parigi fino ai suoi ultimi anni di vita. A Parigi aveva un suo appartamento, in Avenue du Trocadéro, ma frequentava molto spesso il salotto di Mathilde Bonaparte, in rue de Berry o, d’estate, nella tenuta di Saint-Gratien. Lì ebbe modo di incontrare tutti o quasi gli scrittori e i poeti più celebri del tempo (Ernest Renan, Théophile Gautier, i Goncourt, François Coppée), stringendo amicizia con molti di loro. D’altra parte, a Roma, oltre all’alta società di cui fu personaggio di spicco per le sue doti di conversatore colto e spiritoso, frequentò anche gli ambienti letterari che gravitavano intorno alla rivista «La cronaca bizantina» e al giornale «Il capitan Fracassa»: divenne amico di Enrico Nencioni, di Cesare Pascarella, di Arrigo Boito, di Giacosa; fu amico, confidente e consigliere ascoltato di D’Annunzio.
Questa sua intensa vita mondana, insieme con la sua grande abilità di fotografo, e di bibliofilo, di collezionista, di stendhaliano, ne fecero un raffinato dilettante più che un letterato. Egli ebbe certamente più gusto di lettore che talento di scrittore, anche se le poche cose da lui pubblicate risultano tutt’altro che mediocri. Ma soprattutto ne fecero un eccellente «intermediario» fra la cultura francese e quella italiana, un punto di riferimento in Francia per gli scrittori e artisti italiani, con cui fu legato (Verga, Serao, D’Annunzio, Eleonora Duse, fra gli altri), e a Roma per gli scrittori e artisti francesi, che spesso ospitava nel suo Palazzo (Guy de Maupassant, Paul Bourget, Alexandre Dumas fils, Sarah Bernhardt). Divenne, nella Parigi della «Belle Epoque», e nella Roma «bizantina», il notissimo «Gégé» per i tanti amici più o meno interessati, perché egli fu anche, a suo modo, un «mecenate», pronto a soccorrere giovani talenti e vecchie celebrità. Inoltre, il suo gusto e le sue possibilità finanziarie, gli permisero di collezionare nel suo palazzo romano di via Zanardelli (da lui fatto restaurare e ampliare, nel 1904-1911, dall’architetto Raffaello Ojetti), una quantità enorme di libri rari, di quadri, di statue, di suppellettili, di reperti archeologici, privilegiando anche qui tutto ciò che riguardasse la sua ramificatissima famiglia materna, dal I al II Impero.
Ed è dunque per tutte queste ragioni, genealogiche, e affettive, che egli, con il suo testamento, dispose che nel suo Palazzo venisse costituita una Fondazione, con la sua Biblioteca. Al tempo stesso dispose che in una parte del piano terreno venisse costituito, con tutti i suoi quadri, mobili, arredi, documenti, un Museo Napoleonico, ceduto, dopo la sua morte, al Comune di Roma, che tuttora lo amministra.